
Inquadramento giuridico delle cripto valute: le conclusioni della Corte di Cassazione
La Cassazione torna a interrogarsi sulla qualificazione giuridica del Bitcoin e dei servizi prestati dagli exchangers e dai wallet providers.
La Corte di Cassazione torna nuovamente (dopo le sentenze del settembre 2020) ad occuparsi delle cripto valute e del ruolo degli exchangers e dei wallet providers. Con la sentenza n. 44337 del 10. Novembre 2011 la Cassazione penale nel pronunciarsi in merito ad un caso di abusivismo finanziario rilevante ai sensi della art.166 TUF.
Le conclusioni, che riteniamo opportuno segnalare, cui è pervenuta la Suprema Corte nel percorso esegetico diretto ad inquadrare giuridicamente il fenomeno delle cripto valute, in particolare occupandosi dei Bitcoin, e dei servizi consessi alla loro negoziazione sono in sintesi le seguenti:
1) Il Bitcoin può essere qualificato come uno strumento finanziario qualora acquistato con finalità di investimento;
2) qualora l’exchanger promuova la negoziazione di Bitcoin alla stregua di una proposta di investimento ricorre la fattispecie di reato di cui all’art.166, co.1 lett c) TUF tutte le volte in cui il soggetto offerente non risulti abilitato all’offerta fuori sede o al collocamento mediante tecniche di comunicazione a distanza di prodotti o strumenti finanziari.
La duplice qualificazione giuridica delle cripto valute
La sentenza in commento, ponendosi nel solco dei precedenti orientamenti espressi dalla Suprema Corte (Corte Cass. penale, sez. II, n. 26807/2020), e pur avendo riguardo ad un ambito ben definito rilevante sotto il profilo penale, apre a interessanti scenari sul fronte civilistico.
Infatti, pur avendosi riguardo, nella sentenza in commento, al solo Bitcoin, di cui si individua una potenziale duplice qualificazione giuridica: strumento di pagamento ovvero prodotto o strumento finanziario (in ossequio alle definizioni contenute nella L. 231/2007), le argomentazioni fatte proprie dalla Suprema corte si rivelano potenzialmente idonee a determinare la nullità di tutti quei contratti aventi ad oggetto cripto valute acquistaste con finalità di investimento avvalendosi dei servizi di soggetti non abilitati e ciò per un duplice ordine di argomentazioni.
- In primo luogo deve osservarsi come nell’attuale panorama delle cripto valute accanto alle più note, come il Bitcoin, che effettivamente può essere utilizzato anche quale mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi, ve ne sono altre che possiedono finalità meramente speculative e come tali si rivelano idonee a rivestire la sola qualifica di prodotti o strumenti finanziari giacché non circolano come moneta e non sono mai state concepite per esserlo (in particolare i cc.dd. security token).
- In secondo luogo tutti gli exchangers e i wallet providers ad oggi operanti nel mercato, anche i più blasonati, non risultano abilitati in Italia all’offerta fuori sede o al collocamento mediante tecniche di comunicazione a distanza di prodotti o strumenti finanziari, risultando qualificati nella categoria «altri operatori non finanziari».
Il caso Binance
Significativo al riguardo il caso di Binance, la quale nel mercato italiano risulta ancora attiva e operante nel mercato delle criptovalute ma le cui prestazioni di servizi e attività di investimento in senso stretto (svolte attraverso le sezioni del sito sito www.binance.com denominate “derivatives” e “Stock Token”) sono state paralizzate dalla Consob proprio perché « le Società del “Gruppo Binance” non sono autorizzate a prestare servizi e attività di investimento in Italia » (comunicato Consob 15.07.2021).
Alla luce di quanto appena esposto, e pur dovendosi ritenere le questioni legate alla negoziazioni di cripto valute ancora in piena evoluzione sia sotto il profilo normativo che sotto il profilo giurisprudenziale, paiono delinearsi significativi profili di patologia negoziale nelle operazioni legate alla negoziazioni di cripto valute e cripto assets concluse sino ad oggi sul territorio nazionale.
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